Mamatha

Mamatha è una piccola lambadi. Ha un bel viso tondo e due lunghe trecce arrotolate e infiocchettate. Ha otto anni e purtroppo parla poco inglese, ma il suo sorriso comunica meglio delle parole.

E’ orfana di padre, e vive a va a scuola nel compound, mentre la madre e i due fratellini abitano ancora nel suo villaggio d’origine, in una capanna di fango e frasche senza servizi e senz’acqua. Hanno solo una lampadina alimentata da un attacco abusivo ai cavi della luce.

Mamatha è la bambina che ho adottato a distanza… o meglio, come si dice da queste parti, io sono diventata il suo sponsor.

A Khammam non avevo avuto modo di conoscere bene i bambini come a Warangal – sono troppi e non stavamo nella stessa struttura – e comunque eleggerne uno tra tanti sarebbe stato brutto e dificile, quindi non ho voluto scegliere. Volevo solo che fosse femmina, perchè la parità tra i sessi da quaeste parti è ancora un’utopia lontana e le bambine sono piuttosto svantaggiate rispetto ai loro compagni maschi e hanno ancora più bisogno di un’opportunità. Ho chiesto alla suora che si occupa del progetto, Sister Mercitta, di assegnarmene una che avesse particolarmente bisogni di aiuto, e lei si è ptesa un giorno per pensarci. Il giorno dopo mi ha presentato Mamatha.

Il nostro primo incontro è stato emozionante e un po’ imbarazzante. All’inizio riuscivamo solo a stdiarcia vicenda, senza trovare le parole giuste, divise dalla barriera linguistica e dalla timidezza di entrambe. Ancora una volta è toccato a Claudio rompere il ghiaccio con qualche domanda. Nei due giorni successivi abbiamo compilato insieme la sua scheda per inserirla nella lista delle adozioni e io e Rossella abbiamo trascorso un po’ di tempo con lei e le altre bambine, prendendo confidenza grazie a giochi, canti e foto – le foto le fanno davvero impazzire!

Avrei voluto avere più tempo per conoscerla meglio…

Era da tempo che volevo fare una cosa del genere, è incredibile pensare che con una cifra per noi così modesta – più o meno l’equivalente di un caffè ogni due giorni – si possa mantenere un bambino per un anno e permettergli di studiare, e questa mi è sembrata l’occasione ideale: ho conosciuto Semi Onlus, ho visto come lavora, e mi hanno assicurato che posso venire quando voglio a trovare la bambina e vedere come va.

E in fondo è anche un buon modo per stringere un legame ancora più concreto con questo posto… nonché una scusa in più per tornare!

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